Il mio amico Andrea Saba è stato uno dei primi economisti a pubblicare un lavoro sul distretto industriale italiano. Unì un'intuizione penetrante a un meraviglioso senso dell'umorismo.
Un esempio anodino di questo si trova nella storia che raccontava di come, quando era in visita negli Stati Uniti per un giro di conferenze negli anni '80, aveva adottato la metafora del calabrone per spiegare la straordinaria crescita industriale dell'Italia in quel periodo.
Il bombo, notò, è stato dimostrato dalla NASA che è tecnicamente incapace di volare, a causa delle piccole dimensioni delle ali in proporzione all'enorme massa del corpo. Eppure il bombo vola lo stesso, opinò Saba, solo perché ignora le leggi dell'aerodinamica. Allo stesso modo, la prosperità economica italiana in quei giorni sfidò tutte le aspettative: nonostante i molti guai, il paese superò la Gran Bretagna nel 1987 per diventare la sesta economia più potente del mondo.
Saba sosteneva che i distretti industriali che spingevano questa crescita erano una continuazione dell'economia informale italiana, che, secondo lui, non era del tutto nociva in termini di performance economica nazionale. L'informalità scatenò un'abbondante sperimentazione, specialmente nella localizzazione delle attività industriali che negli anni '80 furono celebrate come i distretti industriali.
Questi distretti non solo hanno stimolato la crescita economica, ma hanno anche gratificato lo storico individualismo italiano.
L'informalità generò l'emergere di sistemi industriali localizzati con scarso sostegno da parte delle grandi istituzioni finanziarie, statali o private.
Questi primi distretti furono il risultato - secondo la caratterizzazione di Saba - di un'azione eroica intrapresa da uomini e donne liberi che non avevano altre risorse che l'impareggiabile abilità artigianale e l'audacia imprenditoriale. Inevitabilmente, molte circostanze sono cambiate negli ultimi quarant'anni.
Cambiamenti che hanno tracciato un percorso segnato da pericoli che hanno portato il bombo italiano a lottare in un'arena globale sempre più affollata. Eppure i distretti industriali continuano a giocare un ruolo importante nell'economia nazionale. Le statistiche ufficiali (ISTAT) stimano che circa un terzo di tutta la produzione industriale avvenga in questi sistemi economici localizzati. Secondo questi stessi dati, nel 2011 i distretti industriali in Italia erano 141, un numero significativo, anche se in calo rispetto al 2001 con la perdita di quaranta distretti.
Questi sistemi economici localizzati operano nei settori per cui l'Italia è famosa nel mondo, come i motori e i macchinari, il tessile e i tessuti, i materiali per la casa e l'arredamento, il cuoio e le scarpe. Saba illustra come storicamente questi distretti fossero costituiti da micro imprese indipendenti altamente specializzate che lavoravano in collaborazione con altre imprese simili in un sistema che garantiva il successo individuale e territoriale.
Queste micro imprese non vendevano direttamente al mercato, ma piuttosto producevano componenti superlativi che facevano parte di una complessa catena di approvvigionamento.
La piccola dimensione delle imprese permetteva a ciascuna di esse di sviluppare una competenza ineguagliata in un particolare processo produttivo, sfruttando i vantaggi della specializzazione flessibile.
Ma la dimensione ridotta non era solo una risposta alle mutevoli esigenze di produzione, era anche una risposta alle leggi italiane sul lavoro che furono rafforzate in modo formidabile dalla legislazione del 1970.
Questo prese la forma di un pacchetto di leggi incorporate nella costituzione italiana che limitavano severamente la capacità di un'impresa di liberarsi del lavoro, e allo stesso tempo davano un forte sostegno ai sindacati. Queste disposizioni, tuttavia, non si applicavano alle imprese con meno di 12 dipendenti, costituendo un grande incentivo per gli imprenditori ad investire proprio nelle piccole imprese.
Oggi le leggi sul lavoro sono cambiate sotto l'influenza degli orientamenti neoliberali di politica economica, annacquando il sostegno pubblico ai lavoratori e ai sindacati ed eliminando i vantaggi delle microimprese dal punto di vista della flessibilità del lavoro. Un altro cambiamento significativo si riscontra nel mercato stesso, con il deciso consolidamento di poche aziende leader nelle aree economiche in cui l'Italia ha sempre primeggiato, lasciando poche possibilità di reale competizione. I distretti industriali italiani, come tutta la produzione industriale, sono concentrati al nord.
Pochi sistemi produttivi localizzati hanno avuto successo in altre parti del paese, con eccezioni degne di nota. Per esempio, nella Regione Lazio, di cui Roma è la capitale, solo un distretto industriale è riconosciuto dalle statistiche ufficiali, ed è Civita Castellana, un territorio specializzato nella produzione di ceramiche.
Eppure le statistiche non raccontano mai tutta la storia, e nella parte settentrionale del Lazio si trova un importante anche se misconosciuto distretto industriale nel comune di Valentano. Si tratta di una spettacolare cittadina medievale con una storia straordinaria.
La sua periferia è dotata di una zona industriale specializzata nella lavorazione del cuoio dove una ventina di industrie occupano 400 lavoratori, un numero significativo per lo standard locale. Le singole aziende sono grandi in confronto a quelle dei distretti industriali italiani degli anni '80, avendo una forza lavoro che va da quaranta o cinquanta operai a più di duecento. La maggiore capacità produttiva di queste singole aziende può essere in parte attribuita al cambiamento delle leggi sul lavoro.
Ma è anche una risposta all'attuale rapporto tra le aziende committenti - tutti marchi globali della moda - e gli appaltatori locali. Negli anni '80 ogni piccola azienda si assumeva la responsabilità di un singolo processo complementare a quelli di altri appaltatori specializzati, il tutto coordinato da un imprenditore (chiamato impannatore) che aveva la responsabilità di consegnare il prodotto finito al cliente.
Questo modello non prevale più a Valentano, fornendo un caso di studio che può aiutarci a capire le trasformazioni significative della produzione artigianale italiana.
Gregory Overton Smith
D.Phil. Oxford
Temple University Rome